di Domenico Barberio
Parto, nella recensione di “Demoni e sangue”(Coppola editore, Trapani, 2011),
dagli aspetti che meno mi convincono. E’ molto lungo, è appesantito da
parti di cui si potrebbe fare a meno. 486 pagine, indice compreso, sono
tante,forse troppe, anche per un libro che,tra le altre cose, è
un’inchiesta accurata e approfondita. Appunto l’inchiesta, che in
“Demoni e sangue” è frammista alle vicende autobiografiche in cui
Saverio Alessio racconta se stesso,i suoi dilemmi, le sue difficoltà, la
sua terra e il conflittuale rapporto che si è instaurato con essa.
Ecco, forse un altro ingrediente che poteva essere meglio dosato
dall’autore è la sua forte carica polemica. Il coinvolgimento emotivo fa
perdere a Saverio in alcuni passaggi, secondo il mio modesto avviso,
quella giusta distanza che ci deve essere con la pagina che sta
scrivendo. Questa intima adesione, questo proiettarsi nella vicende che
vengono man mano presentate, porta ad annebbiare la lucidità necessaria e
lo spinge fino all’invettiva troppo carica di rancore. Un buon editor
magari avrebbe permesso di superare questi limiti, eliminando pagine e
smussando il superfluo, ma la scelta, il caso, gli eventi hanno fatto
incontrare questa piccola e coraggiosa casa editrice, Coppola di
Trapani, con un autore che ha fatto tutto da sé, senza concedere sconti,
manifestando appieno la sua impetuosa carica polemica. Sono venuti
fuori allora tutti gli spigoli caratteriali di quest’uomo del sottosuolo
come qualcuno l’ha definito: un personaggio dostojevskiano, uno
scrittore marginale (nel senso che sta ai margini, lontano dal potere).
Dunque un libro con meno pagine,meno carico di nomi e numeri, più agile e
snello, meno arrabbiato, avrebbe migliorato la resa definitiva.
Ma “Demoni e sangue” è anche altro naturalmente, ha molti meriti. Riporta fatti e persone di una regione, la Calabria, messa sotto scacco dalla violenza del potere ’ndranghetista e dalla rapacità del potere politico. E non si ferma solo a questo, l’inchiesta-racconto si allarga e cerca di racchiudere quello che di peggio sa offrire la società calabrese. Ma non solo la Calabria, perché come ci viene ricordato da Saverio Alessio ” il sentimento più forte, il desiderio di libertà, prevale ed impone di indicare a chi non si accorge della mostruosità della ’ndrangheta che lo avvolge silenziosamente nelle sue spire, come questa si infiltri subdolamente nelle società ancora sane e di urlare l’orrore a chi farebbe ancora in tempo a liberarsene, prima che ne diventi schiava come la Calabria”. Un aspetto su cui si insiste in “Demoni e sangue”, attraverso il lavoro di indagine armonizzato con la trama del racconto che lo tiene in piedi, è l’evidenziare non solo la capacità pervasiva delle ’ndrine nella vita economico e politica, ma anche e soprattutto il suo divenire discorso comune e condiviso, retorica pubblica. Ciò che preme è mettere in guardia dal potere di fascinazione della ’ndrangheta. Si tratta di quella malìa di cui scrive uno dei maggiori studiosi della criminalità organizzata italiana, lo storico Enzo Ciconte che sottolinea come esista ”un’attrazione che persiste e che a tratti ha la parvenza dell’immutabilità. E così la fascinazione-o al contrario, lo scoramento per chi alle mafie si oppone- sembra non avere mai fine”. Dunque un potere criminale che è anche dominio culturale, attento a fiaccare senso civico e difesa dei valori democratici che sono imprescindibili per una società sana, aperta, solidale depurata dalla presenza mafiosa. Nei passaggi dove l’amara riflessione sulla sua condizione personale di “esule” dalla Calabria si fa più forte sembra che il disincanto e la mancanza di prospettive abbiano il sopravvento sulle speranze di Saverio “...scrivo della Calabria in modo introspettivo, a tratti superbo, e teso a descrivere quello che vive l’osservatore da un punto di vista ristretto. Forti sentimenti ed una voglia di riscatto personale indipendentemente dal riscatto della mia terra e della sua gente. L’esclusivo tentativo di conquista di uno spazio espressivo individuale”. C’è un’incapacità a subire passivamente le brutture che la società calabrese è capace di esprimere e che nutre le pagine irriverenti di “Demoni e Sangue”. Ma fra queste pagine credo che si possa scovare con attenzione anche un’idea di fondo legata alla speranza, speranza per i destini individuali e collettivi. Nonostante la durezza di fondo Saverio riesce a delinearci, tra demoni e sangue, anche la straordinaria semplicità, carica di bellezza, di posti che gli appartengono, che ci appartengono “La temperatura è migliorata decisamente. Fa anche caldo, con una piacevole brezza primaverile. Profumata di ginestra, di pece, di improbabili novità. Giorni fa con il mio caro amico Carmine, il doc. diminutivo di Doctor, ho visto, odorato, fotografato, un’intera collina di ginestre in fiore. Un mare di giallo fra il verde scuro dei boschi di pino. Una meraviglia!Forse è per queste esplosioni improvvise di fioriture che questo luogo si chiama Fiore”.
Ma “Demoni e sangue” è anche altro naturalmente, ha molti meriti. Riporta fatti e persone di una regione, la Calabria, messa sotto scacco dalla violenza del potere ’ndranghetista e dalla rapacità del potere politico. E non si ferma solo a questo, l’inchiesta-racconto si allarga e cerca di racchiudere quello che di peggio sa offrire la società calabrese. Ma non solo la Calabria, perché come ci viene ricordato da Saverio Alessio ” il sentimento più forte, il desiderio di libertà, prevale ed impone di indicare a chi non si accorge della mostruosità della ’ndrangheta che lo avvolge silenziosamente nelle sue spire, come questa si infiltri subdolamente nelle società ancora sane e di urlare l’orrore a chi farebbe ancora in tempo a liberarsene, prima che ne diventi schiava come la Calabria”. Un aspetto su cui si insiste in “Demoni e sangue”, attraverso il lavoro di indagine armonizzato con la trama del racconto che lo tiene in piedi, è l’evidenziare non solo la capacità pervasiva delle ’ndrine nella vita economico e politica, ma anche e soprattutto il suo divenire discorso comune e condiviso, retorica pubblica. Ciò che preme è mettere in guardia dal potere di fascinazione della ’ndrangheta. Si tratta di quella malìa di cui scrive uno dei maggiori studiosi della criminalità organizzata italiana, lo storico Enzo Ciconte che sottolinea come esista ”un’attrazione che persiste e che a tratti ha la parvenza dell’immutabilità. E così la fascinazione-o al contrario, lo scoramento per chi alle mafie si oppone- sembra non avere mai fine”. Dunque un potere criminale che è anche dominio culturale, attento a fiaccare senso civico e difesa dei valori democratici che sono imprescindibili per una società sana, aperta, solidale depurata dalla presenza mafiosa. Nei passaggi dove l’amara riflessione sulla sua condizione personale di “esule” dalla Calabria si fa più forte sembra che il disincanto e la mancanza di prospettive abbiano il sopravvento sulle speranze di Saverio “...scrivo della Calabria in modo introspettivo, a tratti superbo, e teso a descrivere quello che vive l’osservatore da un punto di vista ristretto. Forti sentimenti ed una voglia di riscatto personale indipendentemente dal riscatto della mia terra e della sua gente. L’esclusivo tentativo di conquista di uno spazio espressivo individuale”. C’è un’incapacità a subire passivamente le brutture che la società calabrese è capace di esprimere e che nutre le pagine irriverenti di “Demoni e Sangue”. Ma fra queste pagine credo che si possa scovare con attenzione anche un’idea di fondo legata alla speranza, speranza per i destini individuali e collettivi. Nonostante la durezza di fondo Saverio riesce a delinearci, tra demoni e sangue, anche la straordinaria semplicità, carica di bellezza, di posti che gli appartengono, che ci appartengono “La temperatura è migliorata decisamente. Fa anche caldo, con una piacevole brezza primaverile. Profumata di ginestra, di pece, di improbabili novità. Giorni fa con il mio caro amico Carmine, il doc. diminutivo di Doctor, ho visto, odorato, fotografato, un’intera collina di ginestre in fiore. Un mare di giallo fra il verde scuro dei boschi di pino. Una meraviglia!Forse è per queste esplosioni improvvise di fioriture che questo luogo si chiama Fiore”.
domenico barberio
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