È reale la
Calabria raccontata da Cesare Fiumi nello scorso numero. C’è il
passato e il presente: dai pitagorici agli aguzzini dell’ex
assessore lombardo Zambetti, che ne comprava i voti. Il futuro
dipende dalla capacità dei calabresi e degli altri italiani di
capire il fenomeno, il problema 'ndrangheta.
Come Fiumi ha mostrato, l’onorata società
devasta, brucia, avvelena, corrompe, ma non cancella la speranza e la
memoria di chi è rimasto onestamente in Calabria; nonostante
l’isolamento, lo sconforto, la voglia di andarsene come in L’orda
di Gian Antonio Stella.
Proprio l’emigrazione è il nodo cruciale della
"Questione calabrese", spesso ridotta a cronaca
dell’efferatezza criminale, a statistica dell’inefficienza, a
estetica dei personaggi – «la crapa di Al Capone» del «ragazzo
di Calabria» Vincenzo Salvatore Maruccio, sovente in gessato, ex
consigliere regionale del Lazio indagato per distrazione di fondi del
gruppo Idv.
Il punto vero è che le logiche del potere in
Calabria non lasciano alternativa: o si resta e subisce o si fugge,
cercando normalità altrove. Salvo che non si ceda al colonialismo
delle cosche. La Calabria si spopola drammaticamente, ma l’Istat
non può registrarlo. Un terzo degli universitari calabresi studia
fuori regione; migliaia di residenti si curano o lavorano al Nord.
La ‘ndrangheta gestisce la cosa pubblica insieme
alla politica e a logge coperte. Lo provano le inchieste
Europaradiso, Black Mountains ed Energopoli, del pm Pierpaolo Bruni,
e molte altre. Impresa e lavoro sono in mano a sodalizi criminali,
che “vincono” gli appalti, assumono professionisti e manodopera e
dispensano favori ed assistenza. La ‘ndrangheta appoggia i
candidati e questi ricambiano a palazzo. Il silenzio da paura, in
tanti casi mero opportunismo, completa la distruzione del tessuto
sociale, delle risorse, della bellezza e della storia calabrese. Il
rischio peggiore non è l’assassinio, l’incendio dell’auto o
dell’azienda, ma la solitudine di chi resiste, di chi non accetta i
rapporti di forza dominanti.
C’è una Calabria in lotta quotidiana: contro le
disfunzioni sanitarie, la parzialità dell’amministrazione, la
lentezza dei trasporti, gli abusi degli organi pubblici e l’abbandono
dello Stato. È una Calabria che non spara, che non delinque e forse
sogna ancora, chiusa nell’amarezza e nella rabbia. Fiumi ne ha
riportato la voce: imprenditori, preti di frontiera, sindaci,
magistrati, intellettuali, educatori. Anche loro, come tanti killer e
faccendieri, sono «calabresi».
Emiliano Morrone, lettera su "Sette"(Corriere della Sera) del 26.10.2012, pag. 161
«Qui
in Calabria», dice
Minervino, fissando dalla balconata di Rende la piana di Cosenza che
di notte si illumina a giorno, «non
esistono più i partiti, solo comitati elettorali quando si deve
votare». Spesso, comitati
d'affari a venire. «Anche
questa città, la più universitaria e intellettuale della Calabria,
ormai è diventata una distesa di cemento».
Gli fa eco Emiliano Morrone, autore con Francesco Saverio Alessio, de
La società sparente, un libro sul binomio
politica-'ndrangheta alle radici della nuova disperata emigrazione:
«'Ndrangheta e massoneria sono i
due grandi poteri oggi in Calabria, non necessariamente in
quest'ordine: la politica va a rimorchio e serve a gestire gli
affari».
Minervino
è di Paola, il paese di un San Francesco duro e puro, e Morrone di
San Giovanni in Fiore, terra di Gioacchino, che Dante volle in
Paradiso. «Un santo e un mistico montanari e ecologisti, sensibili
all'armonia e al bello», ricorda Minervino. Ed è come se la
Calabria fosse la loro nemesi: «Qui
dove nessuno, oggi, prevede direcuperare l'esistente, di sostituire il
brutto riqualificando ilpaesaggio, di rivedere una logica di sviluppo
che restituisca dignitàalla terra». Un'ignavia che addolora e stupisce i calabresi che
dalla Calabria se ne sono andati, ma che sembra non toccare la
maggioranza di quelli che ci vivono. “Mi fu sempre difficile
spiegare che cos'è la mia regione”, scriveva Corrado Alvaro,
novant'anni fa.
Tratto
da: Indagine su una regione al di sotto di ogni sospetto; di CesareFiumi, Corriere della Sera, Sette n° 42 del 19 ottobre 2012
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